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Ernesto Ciorra
DEDICHE NEL VENTO
Incisione Arte, Corbetta (Mi).
Di Ernesto Ciorra, giovane autore romano, avevo già avuto modo di parlare a proposito di una piccola ma intensa raccolta di poesie, dal titolo molto suggestivo Un amore di carta, pubblicata dall’editore Zanetto (Montichiari BS, 1996).
Mi era già sembrato allora un autore quanto mai maturo, capace di coniugare, a partire dalla sigla del titolo, sensibilità e cultura con sicura originalità di accenti, in una poesia esistenziale, di forte presa emozionale. Particolarmente convincente mi era parsa la sua capacità di attraversare i depositi anche minimali dell’esperienza e della memoria, un suo vissuto di autenticità e passione, trasfigurato in immagini di notevole suggestione metaforica, per mezzo di una scrittura di asciutta fisicità, cosa questa che aveva suscitato il consenso della prefatrice Alda Merini.
Nel tempo ne ho perso un poco le tracce, anche se non ho cessato di seguirne discretamente e per quanto possibile incoraggiarne l’evoluzione (un suo atto drammatico, “Alda”, dedicato proprio alla poetessa milanese, so che è stato rappresentato con successo al Festival del Teatro di Taormina, nel 2005), finché non è giunta questa minuscola ma raffinata raccolta, Dediche nel vento, edita paucis et amicis recentemente da un, come dire?, editore-stampatore-artista milanese Giuliano Grittini.

Come suggerisce lo stesso titolo, si tratta di poesie, esattamente 21, dedicate ad amici e forse familiari, accompagnate dalla riproduzione di cinque opere di tormentata visionarietà naturalistica di Linda Grittini, che ben si sposano con la tesa concentrazione della scrittura di Ciorra.
Passano così sotto i nostri occhi di lettori persone racchiuse soltanto in nomi senza volto (Carlo e Martin, Iolanda, Raffaella, Luisella, Riccardo e Giordano, Barbara, Pietro e Valentina, Giacinto, Jerry, accanto ad ancor più generici dedicatari), ma anche figure dotate di un’anagrafe ben riconoscibile (Marco Tronchetti Provera, il poeta Lorenzo Mullon, l’editore Giuliano Grittini) e soprattutto Lei, Alda Merini, che a più riprese nel tempo non ha nascosto la sua autentica ammirazione nei confronti del giovane Ciorra, tanto da eleggerlo a “suo amante” ideale, specificando di voler indicare con questa definizione uno che “lautamente ispira versi, genuflessioni, attese”.
E lui ora, in queste liriche generosamente la ripaga con testi (ben tre), di cui il terzo, “Chiudo il libro a scatti”, riprende esattamente da dove aveva lasciato il discorso del librino del ’96: “Chiudo il libro a scatti / e ad ogni scatto furtivo / la carta balza e s’invola / la carta sul termosifone / è spento il termosifone / altrimenti brucerebbe la carta / io sono così: un elemento di / carta...”.
Come dire che in lui persiste ed è forte ancora la natura per così dire “cartacea” della sua passione poetica, legata com’è alla occasionalità degli incontri, dei rapporti, che nutrono e fortificano sentimenti e scrittura. “Io sono la mia poesia e / per paradosso incomprensibile / quando viene
il freddo forte / rischio invero di bruciarmi”, ammette in conclusione della stessa lirica ed è un’affermazione che è una dichiarazione di poetica.
Un viatico quanto mai necessario contro il grigiore e la “monotonia” della vita, il vero spauracchio dell’esistenza, fissato in un testo secco e lapidario, epigrammatico, dedicato “a chi ha paura di cambiare”: “La monotonia, / quel callo indurito / di cui non si avverte / più l’esistenza”. A Ciorra l’augurio di non lasciarsi mai sorprendere da un siffatto dèmone e di scrivere solo quando il battito inesorabile della vita lo induce ad abbandonarsi “a un futuro indeciso” senza schermi di protezione e senza impellenze di date: esattamente come sta facendo
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Vincenzo Guarracino

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